L’intelligenza degli animali

Cairo Publishing

L’intelligenza degli animali

Qual è l’animale più intelligente al mondo? Sheba, lo scimpanzé che sa fare le addizioni, o Cholla, il cavallo che dipinge tenendo in bocca il pennello intinto di colore? Oppure, Lassie, Furia, Francis, i tanti animali prestati al cinema che, con una metamorfosi, hanno acquisito sul grande schermo abilità inesistenti in natura? Danilo Mainardi rilegge il misterioso libro della vita e, col conforto di tante storie naturali, ci porta nell’universo complesso dell’intelligenza animale. Ma lo fa con un’avvertenza: siamo proprio sicuri che un animale per essere intelligente debba acquisire le stesse facoltà dell’uomo? È possibile che per dimostrare di essere intelligenti gli animali debbano per forza snaturarsi? Il noto etologo ci invita a osservare gli animali – tutti gli animali – con la mente sgombra da pregiudizi, e dalla smania di letture simboliche o antropomorfizzanti, tenendo presente che la straordinaria varietà di forme e comportamenti presenti in zoologia è l’espressione delle tante sapienze di cui la vita è pervasa. Non è possibile, pertanto, costruire una gerarchia delle intelligenze, ma solo prendere atto, con ammirazione, della loro pluralità. Quindi sono intelligenti non solo le specie più evolute come le grandi scimmie, gli elefanti, i delfini, i nostri amici cani e gatti. Oppure quelle più sociali come il lupo, dove singoli individui, con funzioni diverse, collaborano a uno scopo comune. Comportamenti intelligenti sono tipici anche delle specie più semplici che, attingendo alla saggezza dell’istinto collaudata da ere di selezione naturale, riescono a rispondere in modo raffinato ai problemi della propria sopravvivenza. Come, per esempio, la femmina della rana australiana Rheobatracus silus che, quando è il momento della riproduzione, istintivamente smette di nutrirsi per consentire allo stomaco di ospitare i girini e proteggerli. Ogni forma di sapienza è valida nella misura in cui concorre alla vita sana ed equilibrata della propria specie perché, in natura, l’unico principio che davvero conta è il perpetuarsi dell’esistenza. Parola di Mainardi.

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